mercoledì 28 ottobre 2015

Somministrazione eccedente rispetto alle percentuali previste dal CCNL: no della Cassazione alla trasformazione del rapporto

Nel caso in cui l’utilizzatore stipuli col fornitore contratti di fornitura di lavoro temporaneo in misura eccedente la percentuale fissata dai contratti collettivi, non si instaura un ordinario rapporto di lavoro subordinato tra lavoratore e utilizzatore, attesa l’assenza di ogni sanzione per la suddetta irregolarità, che riguarda la sola posizione dell’utilizzatore e non può inficiare il rapporto tra lavoratore e fornitore. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21399 del 21 ottobre 2015.

IL FATTOUn lavoratore conveniva in giudizio la società alle cui dipendenze aveva lavorato come autista dal 2001 al 2004 in forza di contratti di fornitura di lavoro a tempo determinato, stipulati dalla predetta società con varie agenzie di lavoro interinale. Deduceva l’illegittimità dei contratti, in primo luogo per il superamento dei limiti percentuali di lavoratori interinali rispetto a quelli dipendenti dall’utilizzatore, così come fissati dalla contrattazione collettiva. Chiedeva, pertanto, accertarsi l’illegittimità del ricorso alla fornitura lavoro a tempo determinato da parte della società, la nullità dei termini finali apposti ai contratti di fornitura e la conseguente conversione dei rapporti a termine intermediati in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato direttamente alle dipendenze della società.
Il Tribunale adito riteneva illegittimo il contratto di lavoro interinale stipulato il 3/10/2003 per il periodo 4/10/2003-20/12/2003, per violazione della clausola di contingentamento prevista dalla contrattazione collettiva, in base alla quale i lavoratori interinali non potevano superare l’8% della forza già in organico presso l’impresa utilizzatrice.
La Corte d’Appello riformava la sentenza di primo grado, osservando che il contratto in questione doveva ritenersi disciplinato dalla legge n. 196/1997 e non dal decreto legislativo n. 276/2003 (c.d. decreto Biagi), entrato in vigore il 24/10/2003, dopo che il contratto individuale di lavoro era stato stipulato (3/10/2003). Rilevava che l’art. 10 della legge n. 196/1997 non censurava l’ipotesi del mancato rispetto dei limiti percentuali di contingentamento. Deduceva, inoltre, che sulla base dell’art. 86, comma 3, del decreto legislativo n. 276/2003, doveva escludersi l’esistenza di limiti percentuali previsti per l’utilizzo di lavoratori interinali nel periodo intercorrente tra l’entrata in vigore del decreto cit. ed il rinnovo del c.c.n.l. autoferrotranvieri (applicabile al caso di specie) avvenuto il 14/12/2004, talché il c.c.n.l. aveva mantenuto efficacia solo nella parte relativa alla individuazione delle esigenze temporanee legittimanti il ricorso al contratto a tempo determinato.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il lavoratore rilevando che il legislatore aveva posto fine al radicale e assoluto divieto di intermediazione di cui alla legge n. 1369/1960, fissando i limiti della professionalità degli intermediari e della tassatività delle ipotesi.
Ha ammesso, pertanto, accanto alle ipotesi legali di uso del contratto di fornitura, le ipotesi individuate nei contratti collettivi, ponendo due condizioni:
– che si tratti di contratti collettivi di livello nazionale stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative;
– che i contratti individuino i limiti quantitativi alla possibilità di utilizzo dei lavoratori interinali.
Poiché nel caso di specie era stato acclarato in giudizio il superamento dei limiti percentuali previsti dall’art. 7, lett. d), del c.c.n.l. autoferrotranvieri 27/11/2000, doveva reputarsi vi fosse stata fornitura di lavoro temporaneo al di fuori dei casi consentiti dalla contrattazione collettiva, talché il rapporto doveva intendersi costituito direttamente alle dipendenze dell’imprenditore utilizzatore e a tempo indeterminato.
Osservava che i due limiti percentuali previsti dall’art. 7, lett. d, e dall’art. 7, lett. f, c.c.n.l. cit., non si escludono ma si applicano in modo concorrente, nel senso che i lavoratori interinali devono rimanere in ogni trimestre nella media dell’8% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza all’azienda, e sommati ai lavoratori a termine contestualmente assunti direttamente dall’azienda non devono superare il limite del 20%.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal lavoratore. Sul punto, gli Ermellini richiamano il principio ribadito in sede di legittimità in base al quale “In tema di lavoro interinale, nel caso in cui l’utilizzatore, in violazione dell’art. 1, comma 8, della legge n. 196 del 1997 (applicabile “ratione temporis“), stipuli col fornitore contratti di fornitura di lavoro temporaneo in misura eccedente la percentuale fissata dai contratti collettivi, non si instaura un ordinario rapporto di lavoro subordinato tra lavoratore e utilizzatore, attesa l’assenza di ogni sanzione per la suddetta irregolarità, che riguarda la sola posizione dell’utilizzatore e non può inficiare il rapporto tra lavoratore e fornitore” (Sez. L., sentenza n. 5667 del 10/04/2012).
Nella citata pronuncia la Corte ha precisato che quando la irregolarità denunciata, come nella specie, non attiene ne’ inficia il contratto tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice, questo spiega i suoi effetti “naturali”, così integrando lo schema legale che prevede obblighi di retribuzione e contribuzione a carico della fornitrice, ed impedisce di ricadere nel paradigma del rapporto di lavoro subordinato ordinario con la utilizzatrice.
Ne consegue il rigetto del ricorso.

Fonte: lavorofisco.it